Corso serale di scultura del legno di Matteo Gandini
Sì e no. Facciamo finta che la scultura del legno si possa dividere in due sole fasi: sgrossatura (si ricavano forme grezze dal blocco iniziale togliendo il grosso del materiale) e rifinitura (si rifiniscono le forme, definiscono i dettagli e si cura l’aspetto finale della scultura). Ecco, con legni teneri senz’altro la sgrossatura è più facile e meno faticosa…ma la rifinitura è un casino! Provate a scolpire dettagli fini (una pupilla di qualche millimetro, per dire) nel tiglio, sei sempre a rischio rottura, e se per caso ti capita un taglio controvena sono dolori, si strappa tutto.
Con legni duri, è esattamente l’opposto: la sgrossatura è una sfacchinata, ma ti ripagano nella rifinitura, i dettagli non sono così fragili e si può osare qualche taglio controvena, se serve. Il mio consiglio è provare anche legni duri come noce, acero, rovere ecc, senz’altro mi maledirete all’inizio, ma poi capirete.
E’ spesso vero il contrario. Lavorare a mano significa spingere a forza di braccia il ferro nel legno, con l’aggiunta della forza richiesta per trattenere il taglio nel caso debba concludersi in un punto preciso; con la mazzetta questa tensione non c’è, il ferro avanza a scatti a seconda della forza del colpo sul manico, e dosando quel colpo si riesce a prevedere con precisione di quanto avanzerà il taglio. Oltre tutto la forza muscolare richiesta non è continua ma, appunto a “scatti”, e alla lunga affatica meno. Non c’è dubbio che scolpire solo a mano dia una soddisfazione unica, per la qualità delle superfici che ottieni, per il bel suono del ferro che affonda nel legno, per il controllo maggiore che si ha nella rifinitura delle forme; ma questo ha soprattutto senso in un secondo momento. Per il lavoro sempre un po’ ingrato della sgrossatura, è meglio usare la mazzetta, ci sarà tempo dopo per entrare nella dimensione più “meditativa” della scultura.
Questa l’ho sentita decine volte, l’ho anche letta nel regolamento di qualche simposio, a motivare il divieto di verniciare o colorare i tronchi una volta scolpiti. Io credo che sia una posizione un po’ miope: sicuramente se si scolpiscono figure astratte, dalle linee molto semplici o dalle superfici levigate ecc.., ha senso che la parte più spettacolare e appariscente dell’opera sia l’aspetto delle venature e del colore del legno usato. Ma se creo una scultura figurativa, e se voglio che l’attenzione sia soprattutto nelle forme che io ho creato, perché non posso fare una velatura di colore? Ok evitare l’effetto plastica (anche se può essere voluto, e allora perché no), ma insomma ci sono vie di mezzo. D’altronde, voi direste ad un pittore che deve dipingere stando attento a valorizzare la tela?
Questa è un’opinione molto diffusa, e spesso riempie di timore reverenziale chi si avvicina a questa arte. Io sono arrivato alla scultura alla fine di un percorso di lavoratore del legno, e la mia formazione è di restauratore, l’ho fatto per parecchi anni, e ho visto manufatti di legno che sembravano danneggiati in modo irrecuperabile tornare all’apparenza integri e senza difetti (dipende dal tipo di restauro, ma non divaghiamo). Quindi correggere dei difetti ed errori nelle mie sculture non mi ha mai impensierito; si possono incollare i pezzi che sono saltati via (il più è trovarli di solito), si incollano pezzi nuovi dello stesso legno e li si rimodella da capo, si può cambiare il progetto per dare senso ad una mancanza o ad un volume diverso, si può stuccare con uno stucco bicomponente tipo araldite e continuare a scolpire. Spesso risolvere un errore è un momento creativo che può dare una direzione nuova alla scultura che stiamo facendo. Questo quando non sei carponi per terra a rovistare nei trucioli cercando un piccolo naso o un orecchio spezzato; anche quello può essere un momento creativo, ma in un ambito del tutto diverso.🤬
Anche questo è un argomento vecchio e molto dibattuto. E come per moltissimi dibattiti, anche più seri di questo, c’è alla base una visione del mondo dogmatica su cosa è ammesso e cosa no, sul modo di agire più autentico, che guarda caso di solito è proprio il nostro e non quello altrui. Io personalmente scolpisco il 90% delle mie opere a mano, anche gran parte della sgrossatura, perchè mi sembra di avere più controllo, non mi piace il rumore e la polvere, e lo trovo più rilassante (anche se più faticoso): detto questo, soprattutto per sculture medie/grandi, uso la motosega per una prima sgrossatura, e a volte anche il flessibile; per alcuni dettagli e texture particolari uso anche microfrese. Questo per dire che il mio obbiettivo è certamente ottenere un risultato al meglio delle mie capacità, ma anche lavorare alle mie condizioni, in modo che scolpire anche per ore e ore sia piacevole. Cosa c’è di oggettivo in questo? Niente, sono gusti personali. Per altri potrebbe essere piacevole usare per ore la motosega, e non toccare mai neanche una sgorbia. L’importante è il risultato (che è comunque soggettivo, ma su cui ci si può confrontare) e il piacere di lavorare (totalmente soggettivo e non sindacabile). Il resto sono solo parole.
P.s: c’è in effetti un ambito in cui il mio argomento “è tutto ammesso, conta il risultato” è messo a dura prova, cioè la tecnica di scansione 3D del modello e “scultura” con il braccio meccanico, che usano anche parecchi celebri maestri della Val Gardena. Voi cosa ne pensate?
Qui l’equivoco è pensare che ci sia un solo modo di procedere, mentre invece le possibilità sono numerose e usare sempre lo stesso metodo può escludere delle soluzioni valide e interessanti. La scelta di levigare o meno secondo me parte da una domanda fondamentale: sono riuscito a dare un senso ai tagli con cui le sgorbie hanno segnato il legno? Sono espressivi, dinamici dove serve, più neutri dove non serve? Sono tagli puliti? Se la risposta è no, vuol dire che è meglio non lasciare il segno dei tagli, perchè sarebbero troppo evidenti gli errori e le incertezze, e l’effetto generale ne risentirebbe: una bella levigata nasconde molti problemi (bisogna anche sapere levigare bene, ma di solito è più facile). Se invece la risposta è Sì, se cioè i tagli sono venuti bene, allora ho entrambe le scelte: posso lasciare il legno così, “al naturale”, oppure posso levigare. Nel primo caso la figura risulta più dinamica, i segni dei tagli formano ombre che possono sottolineare un’espressione, o rendere più viva una forma; se vogliamo trovare un parallelo con la pittura, è una finitura delle superfici quasi impressionista. Dall’altra parte, una scultura levigata ha un aspetto più pulito, le forme più chiaramente leggibili; un volto levigato sembrerà più vero, più simile alla realtà. E questa può essere una cosa positiva o un problema, dipende ancora una volta dal senso che vogliamo dare alla nostra scultura; l’importante è che sia una scelta, e non un abitudine “perchè si fa così”.
Un altro classico; molte persone si avvicinano a questa arte con un senso di inadeguatezza per non essere bravi nel disegno, e pensano addirittura che la scultura gli sarà preclusa per questo. Devo dare qui un messaggio di speranza: si può scolpire anche senza saper disegnare! Per me il fraintendimento è questo: “io non so disegnare bene il progetto sul legno, quindi non riuscirò a scolpire una figura di buona qualità, visto che seguirò le tracce del mio scarabocchio”. Questo argomento ha un sottinteso: un disegno per una scultura emerge spontaneo e perfetto dalla mente del bravo disegnatore, che con mano ferma replica il contenuto della sua ispirazione sul legno, ed è pronto a sfornare capolavori. In realtà io sono abbastanza bravo a disegnare, ho una buona esperienza e un buon occhio, ma nonostante questo non ho mai fatto disegni così abbozzati e sgraziati e sommari come quando devo segnare il legno da scolpire. Questo perchè non serve altro! I segni sul legno sono indicazioni di lavoro, sono dei limiti da non superare, delle forme abbondanti e solo provvisorie da seguire, delle linee che tutt’al più separano lo spazio in zone diverse, con un rapporto di proporzione tra loro. Se anche volessi disegnare un capolavoro sul legno per sentirmi importante, dopo 2 min di lavoro sarebbe già tutto cancellato dai tagli di sgrossatura. Invece, è dallo studio e dalla comprensione delle forme tridimensionali che piano piano emerge una figura più definitiva e rifinita, ed è questa familiarità che va coltivata, con la pratica della scultura e l’osservazione delle forme tridimensionali . Poi certo, per costruirsi questa familiarità è utile anche studiare immagini 2d, fare disegni preparatori ecc.., ma non servono disegni raffinati, servono disegni utili alla scultura.
C’è una parte di verità: nel suo percorso dentro al legno, la sgorbia è spinta dalla forza muscolare, o dall’impatto della mazzetta sul manico, anch’esso risultato della forza del braccio che la impugna. Quindi per scolpire bisogna essere forti? Non esattamente. Mi sarà capitato forse una volta in 4 anni di corsi di scultura che una persona non riuscisse ad essere minimamente efficace a causa di una debolezza muscolare, è molto più raro di quanto si pensi. Molte occupazioni manuali, come cucinare, coltivare un orto, passare l’aspirapolvere ecc.. possono essere equiparate alla fatica di scolpire il legno, il livello di sforzo fisico è più o meno quello (ok a volte un pochino di più): il “problema” con la scultura è che quel livello lo devi mantenere costante per ore e ore, soprattutto nella fase di sgrossatura. E’ quindi più una questione di resistenza alla fatica, che di forza fisica in quanto tale, e questa resistenza si allena con la pratica. Anche solo stare in piedi per tante ore all’inizio può essere molto stancante, lo è stato per me quando ho iniziato, ma presto ci si abitua. E anche quel “livello” di fatica di cui parlavo, con l’esperienza e la tecnica si riesce a diminuirlo di molto, rendendo più facile mantenerlo nel tempo. Se il lavoro di uno scultore esperto vi sembrerà facile , naturale e senza sforzo, è perchè la sua esperienza gli permette di fare gesti essenziali, senza incertezze e senza sprechi di forza fisica, usando leve e altre tecniche per ottenere lo stesso taglio con la minima fatica. Quindi in definitiva con un po’ di resistenza e le tecniche giuste, possono scolpire tutti. Ho avuto al mio corso anche una ragazzina di 12 anni e un signore di 81, ed entrambi hanno fatto ottimi lavori, e sono usciti sulle loro gambe: e con questo il caso è chiuso.
In effetti è vero.. però c’è qualcosa che non mi torna. Quando facevo mercatini e fiere di paese, e scolpivo davanti ad un pubblico di passanti, mi rivolgevano soprattutto due tipi di commenti, ripetuti all’infinito: uno era la domanda “che legno è?”. L’altro era la frase “eh, ma ci vuole pazienza, …(sottinteso: io non potrei)” Il che , appunto, è vero, ma non vale per qualsiasi cosa? Una parte di quelle persone che mi dicevano cosi’ sicuramente si impegnavano in passatempi che richiedono molta pazienza e meticolosità, tipo il ricamo, il lavorare a maglia, gli scacchi, il modellismo ecc.. Allora la questione è forse questa: se uno non ha idea di come si svolge il processo che porta a creare un’opera di scultura, perché è al di fuori della sua esperienza, il numero di ore necessarie possono sembrare un esagerazione; soprattutto se assistono solo all’ultima fase di rifinitura, potrebbero pensare che hai scolpito tutto con quella minuscola sgorbia, ed avere un mancamento. Quando invece conosci un po’ la materia, e hai un idea di come dal generale si passa al dettaglio, dal grezzo al rifinito, dall’informe al modellato, allora tutte quelle ore di lavoro acquisiscono un senso all’interno di un percorso che , se la cosa ti appassiona, potrebbe non finire mai.
Mi è capitato spesso che al corso arrivassero questi fantomatici set, comprati o ricevuti in regalo con ogni buona intenzione, per avvicinarsi alla scultura del legno senza investire un patrimonio. E’ una forma di prudenza che condivido, perché ho visto anche l’altro estremo , cioè persone che si avvicinano ad una nuova forma d’arte comprando set costosissimi ancor prima di sapere se era l’inizio di un percorso oppure no. Quindi, a livello logico, tra spendere inutilmente 50€ , e spendere inutilmente 600€, meglio la prima. Ma non è una vera soluzione. Le sgorbie di bassa qualità hanno di solito 3 difetti principali: 1. sono scomode da impugnare. Spesso hanno manico e lama troppo corti , diventa complicato tenerle con entrambe le mani, e la qualità ergonomica è scarsa. 2. l’acciaio è scadente. Non so se è un difetto di tempratura o proprio del tipo di lega, o entrambi, ma alla prova dei fatti si dimostra troppo tenero, non tiene l’affilatura perché si smussa troppo facilmente anche dopo pochi tagli 3. la lama ha forma e dimensioni completamente sbagliati. Forse a causa della scarsa qualità dell’acciaio, hanno creduto di compensare con maggiore spessore della lama (fino a due volte lo spessore normale) e con un aumento dell’angolo dell’unghia veramente notevole, fino ad arrivare anche a 40 gradi o più. (guardate nella foto il quarto ferro da destra…saranno 60°. quella è un’arma contundente, non da taglio). D’accordo, l’angolo dell’unghia si può abbassare, e io ho provato eroicamente a farlo con un set di un mio studente…ma così il tagliente era ancora più fragile, appena affilato era già da riprendere. Qualcuno dice che è una buona palestra per imparare ad affilare: potrebbe essere, se desse buoni risultati, ma così com’è è uno spreco di tempo e di energie. La mia soluzione? Con gli stessi 50-60€, ti puoi comprare 3-4 ferri di ottima qualità, e con quelli inizi, e provi ad affilarli, e provi a capire se la cosa ti interessa e se vuoi proseguire. Anche perché se il discorso è “farci la mano” o “prendere confidenza”, non c’è niente di meglio secondo me di imparare a usare pochi ferri per fare quasi tutto, adattando le tecniche e anche i progetti sulla base delle curvature che hai già, cercando di sfruttare ogni parte della lama (il tagliente, gli spigoli, l’unghia, il dorso) per ottenere la maggior varietà di tagli. Quella è una buona palestra; cercare di spremere le rape anche no.
La differenza tra alto e basso rilievo sta nello spessore della parte scolpita, se affiora appena dallo sfondo è bassorilievo, se emerge per oltre metà del suo spessore si può considerare altorilievo . Le figure stampate sulle monete sono dei bassorilievi estremi, in cui i vari piani hanno delle differenze di spessore di pochi decimi di millimetro. All’inizio la scelta è semplice: più riesco ad abbassare lo sfondo intorno alla figura, più la figura stessa emergerà e avrà spessore, più mi avvicinerò ad un altorilievo. Di solito la scelta di fare un bassorilievo arriva quando, dopo alcune ore intense di sgrossatura, ti accorgi di essere sceso con lo sfondo solo un centimetro: e quindi ti sembra all’improvviso una buona idea fermarti lì. Il problema è che, come dicevo anche per la scelta del legno, la fatica che risparmi all’inizio spesso ritorna fuori alla fine: scolpire bene un bassorilievo è molto più complicato che scolpire un altorilievo, perchè avendo meno spessore totale a disposizione, ci si trova a gestire la suddivisione dei piani con differenze minime di altezza tra di loro. Per dire, tra sfondo, secondo piano e primo piano (se rimaniamo su progetti semplici), ci sarà uno scarto di pochi millimetri; a volte, due livelli che dovrebbero essere di altezza diversa si trovano per mancanza di spazio sullo stesso piano, e bisogna differenziarli con inclinazioni diverse, con texture particolari, lavorando sottosquadro (che è un po’ complicato visto gli spessori). Invece nell’altorilievo si ha più spazio, e la profondità che riesco a dare alle forme è più simile al vero: in entrambi i casi è una profondità simulata, non reale come nel tuttotondo, ma nell’altorilievo non devo ricorrere a trucchi ottici o tecniche particolari, si riesce ad essere convincenti senza grande sforzo. Inoltre, proprio a causa di queste caratteristiche “illusorie”, un bassorilievo avrà una sola prospettiva autentica in cui leggere la figura, quella frontale: già inclinando leggermente la scultura, diventerà sempre meno leggibile fino a scomparire diventando bidimensionale; l’alto rilievo invece rimane abbastanza tridimensionale anche se visto di trequarti, non solo frontalmente. Cosa volevo dire con tutto questo? Non che una tecnica è migliore dell’altra: sono entrambe valide e interessanti, se sai cosa ti aspetta.
Risposta breve: NO!
– respiro –
Risposta diplomatica: …Però deve piacere a te, certo è una semplificazione , ci può anche stare, ma non riesco a capire perchè il 99% dei gufi vengono raffigurati così, magari possiamo trovare un altro modo per stilizzare il gufo, più personale, che non sia sempre quella specie di patata con occhi a piattino e uno strano becco messo a caso da qualche parte nel mezzo. Gli diamo un atteggiamento? Una posizione più interessante? Facciamo gli occhi non sullo stesso piano, ma leggermente angolati tra di loro? No eh? Ti piace così. Va bene dai, facciamo il gufo come nell’immagine… ma infatti, deve piacere a te. No non è una lacrima, mi è andata della segatura in un occhio…
Ci ho messo un po’, ma alla fine mi sono dovuto arrendere ad una realtà ineluttabile: scolpire un tronco intero vuol dire avere la tua opera finale solcata da spaccature (fessurazioni da ritiro). A volte è possibile intuire dove andranno a cadere le fessurazioni più grosse, e quindi si possono per lo meno aggirare, evitando di posizionare le parti più delicate e importanti (il viso, per dire) proprio dove si aprirà la crepa; a volte invece il legno non dà segni e ti sorprende alla fine. Quindi far seccare il tronco non serve a niente? Serve sì, ma solo a evitare il peggio delle spaccature. E’ un discorso un po’ tecnico quindi lo semplifico al massimo, con una simpatica analogia: fate conto che un albero sia una grossa spugna. Finchè è vivo, è gonfio d’acqua, sia nelle pareti cellulari, sia nei vasi cellulari (le cavità delle cellule) ; una volta abbattuto perde lentamente l’acqua da entrambi i posti, finchè l’acqua nelle pareti cellulari è finita: quell’acqua lì non tornerà più, e questa soglia è ciò che si otteniene con l’essicazione . Ma l’acqua nei vasi cellulari invece va e viene: se il legno prende forte umidità per un tempo prolungato la può riassorbire, viceversa la perde di nuovo se c’è un ambiente secco. Questi sbalzi di umidità del legno, e quindi di volume, sono la causa delle fessurazioni, e sono più o meno eterni: anche legni vecchi di secoli ne risentono, anche se in misura minore (a volte hanno una patina stratificata così spessa che l’umidità fatica ad entrare). Se si scolpisce un tronco verde, appena tagliato, le fessurazioni saranno giganti, e a volte possono compromettere l’intera scultura; se si scolpisce un tronco già essicato, le fessurazioni saranno magari più ridotte ma comunque presenti, e potranno comparire anche nel tempo, dipende anche dalla specie legnosa, e dalla stabilità (o meno) delle condizioni di umidità dell’ambiente in cui è conservata l’opera (occhio ai caloriferi o alla luce diretta del sole). Un modo per limitare (mai annullare) questo fenomeno è abbastanza scontato, e cioè dare una finitura al legno, che sia vernice, olio, cera, ecc…, in modo da rendere più difficile l’assorbimento di umidità. E comunque, prima di ogni cosa, bisogna abituarsi all’idea che lavorare il tronco intero ha queste caratteristiche, e accettarlo per quello che è, magari inventandosi di sana pianta una visione filosofica sulla centralità dell’imperfezione nell’arte. O cose di questo tipo.
No, caro interlocutore immaginario, non devi rassegnarti. Ci sono soprattutto due soluzioni alternative: (1) puoi sezionare un tronco in porzioni più stabili; e (2) puoi assemblare un blocco incollando diversi elementi. La (1) è semplice: dato che la forma intera del tronco subisce un ritiro molto importante nel senso della circonferenza, e di conseguenza si fessura, se riduco la porzione di circonferenza ottengo un blocco più stabile, che risentirà comunque del ritiro , ma senza fratture interne. La forma migliore per rapporto tra dimensioni ottenute e stabilità è il quarto: tagliando un tronco tondo in 4 fette con un angolo interno intorno ai 90°, ottieni 4 quarti perfetti per la scultura. E’ un taglio che si può anche fare a mano, con un’ascia e dei cunei. Ora, il problema è che ogni quarto è solo una frazione del tronco iniziale, che dovrebbe essere enorme per contenere dei quarti adatti a sculture medio/grandi. Quindi, o rimani sul piccolo, o passi alla soluzione (2).
La soluzione 2) è più laboriosa, ma dà i risultati migliori. Puoi prendere quanti blocchi vuoi, che siano assi o travetti, o porzioni di tronco che decidi tu, e li assembli in un super blocco da scultura, che al quel punto può essere grande quanto serve. Si tratta, in fin dei conti, di piallare tutte le superfici di contatto tra i blocchi, in modo che le giunzioni siano meno visibili possibile, e incollarle insieme, cercando nel contempo di allineare l’andamento della venatura tra uno strato e l’altro; in questo modo , una volta scavato il primo strato durante la scultura, il secondo strato potrà essere lavorato sempre nella stessa direzione, senza improvvisi cambi di venatura. Preparare i pezzi con una pialla a filo e spessore è uno scherzo, ma non tutti hanno macchine a disposizione; io i blocchi per le prime sculture li ho assemblati piallando a mano ogni strato, un lavoro lungo, paziente, a tratti frustrante, ma alla fine di grande soddisfazione. In ogni caso, il blocco così ottenuto è molto più stabile perchè le deformazioni che ogni elemento subisce a causa del ritiro sono compensate e stabilizzate da quelle degli elementi vicini. Sono da poco uscito da una fase più… spontaneista diciamo, in cui scolpivo tronchi o tronchetti e facevo finta di non soffrire quando li vedevo aprirsi; da qualche mese ho fatto voto di ricominciare ad assemblare i blocchi, che va bene, è più lungo e faticoso, ma almeno mi dà la certezza di un materiale affidabile. In un lavoro di scultura, con tutte le infinite incognite e sorprese che possono saltare fuori, mi pare più saggio partire almeno da un blocco di legno di cui potersi fidare.
E’ meglio, forse, ma per chi è meglio? Certo per l’insegnante, perchè seguire lo stesso soggetto moltiplicato per il numero dei partecipanti è più rilassante, meno dispersivo e soprattutto più comodo da progettare; a tutti lo stesso legno, tagliato alle medesime misure, non c’è bisogno di improvvisare, di inventare o di risolvere problemi. Un altro vantaggio, che nessuno credo ammetterebbe, è che se il progetto che proponi lo conosci a memoria, e potresti farlo ad occhi chiusi, non ti troverai mai come insegnante davanti a degli imprevisti, non dovrai mai ammettere al tuo studente che non sai esattamente come andare avanti, o che hai un idea ma non sei sicuro del risultato. Molta gente è convinta che per essere un buon insegnante devi sempre sembrare completamente sicuro di te, devi emanare autorevolezza e decisione. Io, che non riesco a emanare autorevolezza nemmeno con mia figlia di 5 anni, sono di un altra scuola, e molto spesso mi trovo a dire cose tipo “boh, io farei così, prova a fare un pezzo in questo modo, tra 10 min torno da te e vediamo se ha funzionato”. E quindi il progetto deve essere il più possibile personale; io posso dare dei consigli sulla fattibilità , in rapporto all’esperienza dello studente, a motivi tecnici, al materiale disponibile ecc.., ma insisto sempre che ognuno scelga di fare ciò che preferisce. Innanzitutto è una questione di motivazione personale: è più facile superare le parti più faticose della scultura, se stai facendo un progetto che senti tuo, che già immagini di portare a casa, o di regalare a qualcuno. Quanto agli imprevisti, sono una parte importante (e in qualche misura ineluttabile) di qualsiasi lavoro di scultura, e pensare di evitarli attraverso la ripetizione e l’uniformità è prima di tutto un ‘illusione, e in secondo luogo un’occasione persa. L’occasione intendo di affrontare le difficoltà e gli errori come momenti di rielaborazione di un progetto, e di stimolo artistico, sia per lo studente, che per l’insegnante. Anche se seguire tanti progetti diversi contemporaneamente può essere davvero più faticoso, è talmente più stimolante e istruttivo per tutti (me compreso) che ne vale assolutamente la pena.
Questa la mettiamo nella serie “Le domande che no”. Serve una premessa: a me in generale non piace raccontarmi, o presentarmi, o spiegarmi, e men che meno vendermi (anche se mi tocca farlo, e a piccole dosi ci sta); quindi la mia reazione a questa domanda è del tutto personale, e persone più estroverse potrebbero vederla in modo radicalmente diverso. Detto questo, è un tipo di richiesta che io trovo irricevibile. Spesso il passante di turno mi chiede cosa rappresenta una mia scultura senza averla guardata per più di 10 secondi, senza essersi fermato un momento per cercare di cogliere il significato di quello che faccio. Che non deve in nessun modo interessare a tutti, anzi non ho nessun problema con le persone che passano via senza guardare: il fatto che la mia arte mi rappresenti e mi piaccia non è un motivo sufficiente perché piaccia ad altri. Ma se ti fermi, e hai così voglia di approfondire, e riesci perfino a rompere la barriera dell’imbarazzo tra sconosciuti rivolgendomi una domanda, mi chiedo: perché non cerchi di capire guardando con i tuoi occhi? E non lo dico solo per il mio leggero fastidio, che è ininfluente e potrebbe anche essere un mio problema di carattere. Lo dico soprattutto per la visione dell’opera d’arte che sta dietro alla domanda, e per la necessità che le persone sentono di farsi spiegare il significato dall’autore. Forse la perdita di importanza dell’arte figurativa, in favore di arti astratte e concettuali, ha reso necessario sempre di più il ruolo di un mediatore (che sia l’esperto di turno o l’autore stesso) che debba fornire un’interpretazione dell’opera consumabile dagli spettatori, e questo sia ad alti livelli, sia ai livelli da fiera di paese dove stavo io. (dico stavo non perchè nel frattempo mi sia innalzato a chissà che livello, solo ho deciso che non mi andava più). Questo bisogno di qualcuno che ti spieghi quello che tu stesso stai vedendo (ma non guardando), mi sembra un modo piccolo ma significativo di evitare qualsiasi responsabilità di una tua interpretazione, di una tua visione, perfino di un tuo parere. Poi si potrebbe distinguere: da una parte c’è la domanda “che cos’è” ( tradotto, che cosa rappresenta) : che va bene, se si parla di arte astratta lo capisco, ma io faccio arte figurativa , se mi dici che non capisci cosa rappresenta mi faccio delle domande. Diversa è la domanda “cosa significa”, perché in un certo senso il significato “emerge” dal soggetto rappresentato ma non si può ridurre al soggetto, dipende anche da tutto il mondo interiore dell’autore nel momento in cui creava l’opera. Però il significato che volevo dare io (autore), dipende dal mio mondo interiore: il significato che vedi tu (osservatore) dipende dal tuo mondo interiore, e potrebbe essere completamente diverso dal mio. Quello che mi sembra di vedere in fondo è la rinuncia a farsi un opinione, una svalutazione terribile del proprio mondo interiore, e di conseguenza una resa di fronte al principio di autorità, che non ha mai portato a niente di buono.
O forse è tutta una fantasia di un tizio che vuole essere lasciato in pace.
Questo è senz’altro vero, e a seconda della disposizione d’animo può essere o non essere un problema. Se si scolpisce con in mente solo il risultato, se tutte quelle ore sono focalizzate esclusivamente all’oggetto che hai in mente, il tempo e la cura che la scultura richiede possono sembrare un’esagerazione. D’altronde, se l’obbiettivo finale è solo possedere un oggetto artistico, la strada di scolpirlo nel legno a mano è forse una delle più lunghe e laboriose (la strada più breve sarebbe comprarne uno già fatto). A volte è meglio sospendere questa tensione verso il risultato, tenendo presente dove vogliamo arrivare ma senza esserne schiavi; in questo modo si riesce ad entrare nel flusso creativo della scultura, in cui le ore passano senza lasciare traccia, in cui la mente si svuota di pensieri astratti e si riempie della concretezza di gesti, di forze, di linee, di masse, di movimenti; “Ridatemi il cervello che basta alle mie mani”, come cantava quel tale. Questa immersione nella materia è il vero obiettivo, per me, come credo per molti altri scultori di ogni livello. Ogni tanto la materia dice la sua, a volte ti contraddice apertamente, e di solito ha ragione (o meglio, è molto difficile opporsi ai suoi argomenti); in questi casi devi cercare una strada diversa, ripensare il progetto in parte o del tutto, fare di nuovo le tue valutazioni di significato, filosofiche , o tecniche su quello che stai cercando di esprimere; e di nuovo ributtarti nella materia. E’ questa franca discussione tra il pensiero e la materia che rende la scultura una pratica così esaltante, ed è per questo che non mi pesa impiegare, per i progetti più elaborati, anche 120 ore di lavoro. Dipende anche dallo stile dello scultore, io mi soffermo molto sui dettagli e impiego il tempo necessario, altri stili più impressionisti possono richiedere meno tempo (ma bisogna mettere nel conto tutti i mesi e gli anni di pratica che hanno portato ad una tale sicurezza e velocità). E’ naturale che una persona alle prime armi potrebbe pensare che la lentezza del suo lavoro dipenda da una sua mancanza di tecnica, di abilità, ecc.., e in parte è vero, ma io ci tengo a rassicurarli sempre, gli mostro un mio pezzo e gli dico: “per far quello ci ho messo 3 mesi… che bel viaggio che è stato”.
Ieri ho pubblicato sul Gruppo “Scultura del legno – come scolpire, e perché” https://www.facebook.com/groups/950766345342940/?ref=bookmarks (a proposito, se non l’avete fatto, iscrivetevi!) una foto di una statua egizia di 4500 anni fa. Cercando su internet, ho trovato che la scultura di legno più antica che possediamo, l’idolo di Shigir, è di larice e risale a circa 11.000 anni fa (foto). Al di là dell’emozione che si prova a pensare di far parte, ognuno a modo proprio, di una storia così incredibile, così lunga e difficile e profonda, al di là di questo mi sono trovato a fare una considerazione: il concetto di “segreto di bottega”, da qualsiasi parte lo si guardi, non ha senso. L’umanità lavora il legno da centinaia di migliaia di anni (anche i Neanderthal creavano utensili), e il legno in tutti questi millenni è sempre rimasto lo stesso materiale, con le stesse caratteristiche e lavorabilità. Come si fa ad avere l’arroganza di pensare di avere scoperto un metodo nuovo, una nuova tecnica, una lavorazione mai provata prima, di fronte a quell’immensità di esperienze passate? E, per assurdo, ammesso e non concesso che tu abbia scoperto qualcosa di nuovo e mai visto prima, una cosa per cui ti senti elevato per un momento al di sopra di tutti gli sforzi, i talenti, le intelligenze del passato, anche allora: ma come puoi tenerlo segreto? Mi sembrerebbe un crimine contro l’umanità. Forse il problema è che se rendessi pubblico il tuo segreto, ti accorgeresti che 10.000 artisti o artigiani del tuo tempo sono arrivati alle stesse conclusioni, e magari 100.000 c’erano già arrivati in passato. Ma quindi siamo destinati a ripetere gli stessi gesti, nel nostro caso a creare la stessa arte nel legno, come innumerevoli volte è avvenuto prima di noi? In realtà no per fortuna. Le persone sono sempre uniche, gli artisti hanno mondi interiori sempre diversi, perché sono il prodotto di contesti e ambienti sempre nuovi e in costante trasformazione nel tempo. Ognuno ha il proprio immaginario che è irripetibile, perché è l’impronta della vita che ha vissuto fino a quel momento. E’ questa visione che dà originalità alle opere che facciamo, e bisogna coltivarla con attenzione, difenderla dalle mode e dalle trappole del facile consenso. Se riesco a mostrare la mia unicità attraverso le opere che scolpisco, questo è il mio segreto di bottega, solo che non è un segreto, anzi è un pensiero banale che tutti conoscono: il difficile e il bello è provare a farlo.
A sinistra una sgorbia nuova, comprata da poco. A destra un ferro simile, uno dei primi che ho acquistato, nel 2005. In questi quindici anni, mentre l’acciaio si consumava impercettibilmente ad ogni affilatura, ho cambiato tre professioni nel campo della lavorazione del legno, ho preso casa con Selima, perso e ripreso un buon numero di animali, avuto due figli, perso amici e trovato amici nuovi, fatto progetti ma sempre a breve termine per non contraddire la mia assenza di ambizione, cominciato a vivere dei miei corsi, imparato ad apprezzare tutto quello scambio umano contraddicendo una parte di me, imparato un mio modo di fare il padre, trovato un senso agli aspetti del mio carattere, ceduto alla tentazione di fare post esistenziali su Facebook : tutto questo in 2 cm di acciaio
Dopo anni di attenti studi psicologici sul campo, facendo una media ragionata tra la mia esperienza e quella dei miei studenti, sono riuscito a individuare le 6 fasi tipiche della scultura del legno.
1. Ho in mente un progetto incredibile, forse un pochino complicato, ma lascerà tutti basiti e non vedo l’ora di cominciare
2. Ho cominciato, sono ancora abbastanza motivata/o, però il legno è duro, e sembra sempre contro vena
3. Il mio insegnante/la mia esperienza mi dice che devo togliere di più, ma non sono sicura/o, non è che ho già tolto troppo? e poi se sbaglio? È vero, sembra ancora un ammasso di forme squadrate, ma forse va già bene così…
4. Disastro, mi sa che ho scelto male il progetto, non sta venendo come mi aspettavo, mi dicono di andare avanti che sta andando bene ma forse mi mentono, o lo fanno per compassione
5. Wow ho finito! È bellissimo, la finitura ha evidenziato le venature e la cera ha proprio un buon odore, sono veramente soddisfatta/o, però che fatica , il prossimo progetto lo scelgo di sicuro più facile con un legno più morbido, perchè va bene l’arte ma non voglio soffrire…
6. Ho in mente un progetto incredibile, forse un pochino complicato, ma lascerà tutti basiti e non vedo l’ora di cominciare
From my experience as a sculptor and woodcarving teacher, I found these are the 6 stages of sculpture.
1. I have an incredible project in mind, it may be a bit difficult, but it’ll blow everybody’s mind and I can’t wait to start
2. I have started it, I’m still quite keen, but the wood is hard to carve, and It seems I’m always against the grain
3. My teacher/my experience tell me I have to remove more wood, but I’m not so sure, haven’t I already carved out enough? And what If I make a mistake? True, it still looks like a bunch of cubic forms, but can it be good already?
4. What a mess, I guess I was wrong when I choose the project, this isn’t going well at all, they tell me it’s coming togheter nicely, but they’re lying to me, maybe out of pity
5. Wow I did it! It’s beautiful, the finish brought out the wood grain and I just love the wax’s smell, but what a struggle it has been, I swear the next project will be easier, with a softer wood, for art is wonderful but I don’t want to suffer so much
6. I have an incredible project in mind, it may be a bit difficult, but it’ll blow everybody’s mind and I can’t wait to start
“lo scopo dell’artista è di dar vita e spirito alla materia rigida e inerte.
Lo sforzo del ricercatore di dare allo spirito volubile e incostante forma e stabilità.
E quando ognuno di essi raggiunge l apice della propria fatica accade che entrambi si fondano in uno solo”. Goethe
Concordo con tutti i punti .
Amo il legno da una vita e creare da un pezzo inerte una scultura da emozioni
Sì, sicuramente
Mi sto preparando, ansioso, per poter iniziare questa meravigliosa arte-legno.
Io non ho capito se il tronco deve essere secco oppure no´ io ho un tronco di 5 Metri e Vorrei far fare dagli artisti gia´ esperti una Statua Maori….ma´ deve o non deve essere secco?
Un tronco intero comunque nel tempo si fessurerà e si deformerà, se lo fai scolpire ancora “verde” tanto più, ma anche se lo fai seccare non è un materiale stabile. Detto questo, se vuoi una scultura in stile primitivo ancestrale, le spaccature non dovrebbero dar troppo fastidio, anzi magari aggiungono carattere