Corso serale di scultura del legno di Matteo Gandini
Di seguito una specie di presentazione di un lavoro di scultura che ho appena concluso, la copia di un putto in legno proveniente da una sacrestia vicino a Bergamo.
I putti da reintegrare saranno 5, rubati dalla chiesa approfittando di un cantiere.
Cominciamo dal materiale: il putto modello è alto sui 50 cm, ed composto da 3 tavole di tiglio da 5 cm, più una mezza tavola sul dorso per alcune parti più sporgenti (una natica, per esempio). Il legno che avevo a disposizione era simile, tavolone da 5 cm di tiglio, ed è stato un grosso vantaggio, perché ho potuto imitare anche l’assemblaggio, e in seguito ho usato le linee di giuntura come riferimento per la modellazione. Di solito si fa in matita o penna un segno sul legno per segnare una parte da asportare, o un limite o una forma da ottenere, ma qualsiasi segno è destinato a sparire in pochi secondi non appena si inizia a scolpire: invece le linee della giunzione delle tavole attraversano tutta la forma della scultura, e perciò sono un riferimento costante. Per fare un esempio, ho numerato le tavole dall’1 al 3, e potevo determinare facilmente che quel tal gomito nel modello era in un punto tra la tavola 1 e la due, e quindi avere un’idea abbastanza precisa su dove scavare.
Il tiglio è uno dei principali legni nostrani per l’ intaglio (almeno in Lombardia), è morbido e malleabile, e tiene bene i dettagli, perché di grana molto fine. E’ un legno senza molta personalità, nel senso che ha venature poco visibili, nessuna variazione di colore (un costante bianco avorio) e non si presta molto alla lucidatura, ma è perfetto per una scultura in cui l’importante siano le forme e i volumi più che l’aspetto cromatico, quasi come fosse di gesso.
Dalle tre tavole piallate e incollate, con la sega nastro ho tagliato il contorno della statua; per il primo putto ho voluto lavorare prima la gamba piegata (che rimane dietro quella distesa) e solo in seguito incollare il legno necessario per la gamba distesa; volevo evitare tutto il lavoro di scavo nel legno pieno per separare le due gambe, e quindi risparmiare tempo; ma questa soluzione si è rivelata comunque un po’ macchinosa (senza contare il tempo necessario all’incollaggio) e non credo che la ripeterò.
E’ il momento di incominciare a scolpire; ho deciso di partire dal retro e abbozzare tutta la schiena prima, per poi fissare la Carver Vise tra le scapole e girare la scultura sul fronte.
L’inizio di un qualunque lavoro impegnativo è spesso un momento di leggero spaesamento; tanto più se si tratta di una scultura sul legno, che potrebbe sembrare per sua natura un lavoro di altissima precisione e di categorica risolutezza, in cui ogni errore può costare caro. Il fatto che ciò non sia del tutto vero non toglie, all’inizio, un certo timore reverenziale, che se non è superato può avere effetti pratici sul modellato finale: visto che di solito si inizia da una forma squadrata di legno, se si ci si limita per non sbagliare a una modellazione superficiale il lavoro perderà di tridimensionalità, e resterà squadrato perché troppo simile al blocco di partenza. Quindi, coraggio!
Ho cominciato col modellare la gamba piegata e, come dicevo prima, ho poi incollato il legno necessario alla gamba distesa, oltre che alle mani e al viso. Nei successivi angeli ho deciso di aggiungere direttamente una tavola in più all’assemblaggio iniziale, invece di perdere tempo con tutti questi incollaggi separati.
La Carver Vise è un utile sistema di fissaggio, una morsa stabile e flessibile quanto basta, ma scolpendo una zona così lontana da dove è fissata, la leva che si crea è troppo lunga e la morsa semplicemente non ce la fa, facendo muovere tutto il pezzo nella direzione dell’intaglio; usando cinghie e qualche fermo di legno ho trovato la stabilità che serviva, e man mano che salivo (dall’ombelico in su per dire) la Carver Vise ha ripreso a fare il suo lavoro.
Per mantenere le proporzioni ho usato due diversi compassi, uno di legno apposta per i volumi e uno a doppia punta, più calibro e metri vari.
A parte alcuni punti fondamentali (distanza punta del piede-ginocchio, ginocchio-gomito e così via) e alcuni volumi (larghezza di cosce e caviglie per esempio), la maggior parte delle forme le ho copiate a vista, cercando più una coerenza interna alla mia statua piuttosto che replicare strettamente il modello. L’obbiettivo era in questo caso replicare le dimensioni del modello, il suo carattere e la posa, perché sono fattori che hanno un senso preciso nel contesto in cui andranno le statue; ma vista la diversità tra loro delle statue originali, mi sono sentito autorizzato a qualche licenza.
Le sgorbie che possiedo sono una trentina di ferri Pfeil, di fabbricazione svizzera, una delle marche migliori sul mercato. E’un insieme di ferri che ho assemblato nel tempo e a seconda delle esigenze del lavoro in corso. Ho avuto la tentazione di prendere all’ inizio uno dei set Pfeil standard, ma visti i prezzi temevo di acquistare nell’insieme anche qualche ferro che non avrei mai usato; alla fine penso che sceglierli uno ad uno sia il modo migliore. Le sgorbie Pfeil, dicevo, sono di ottima qualità, comode da impugnare e leggere; l’acciaio non è nè troppo duro nè troppo morbido, come dire che non è difficile da affilare ma non perde subito l’affilatura. Ho riscontrato peró con sgomento e sconcerto che alcune sgorbie appena comprate (in negozi diversi) presentano un difetto (non so dovuto a cosa) proprio nell’ acciaio della lama, un “dente” sul filo, che non scompare con l’affilatura e che segna senza scampo il legno. Ho parzialmente risolto la cosa aumentando l’angolo dell’unghia, ma è un triste ripiego
Come si scolpisce. Qui non voglio dilungarmi, ci sono molti validi testi e siti sull’argomento (se avrò tempo li metto sul blog). Voglio solo citare qualche regola d’oro che ho letto qua e là o sperimentato e che può servire a chi ha già un minimo di familiarità con la materia:
– Non girare il Duomo! ovvero, impara a usare entrambe le mani per scolpire sia da destra verso sinistra sia viceversa, piuttosto che girare il pezzo in tuo favore. La frase era una delle massime del mio maestro di intaglio, e diceva piú o meno: ma se sei sul tetto del duomo a scolpire e non sai usare anche la sinistra cosa fai, giri il Duomo?
-Usa sempre il ferro piú grande adatto al lavoro che devi fare, cioè a paritá di unghia è meglio una sola passata con un ferro grande che due sovrapposte con ferro piú piccolo
-La progressione dell’uso dei ferri, di massima e salvo frequenti eccezioni, dovrebbe andare dall’unghia piú concava, ottima per sbozzare perché porta via piú legno, via via fino a quella piú piana, per lisciare e rifinire le superfici. In parallelo a questa progressione c’é quella delle dimensioni, dalla sgorbia piú grande per impostare i volumi agli inizi a quelle piú piccole per i particolari
-Non ho trovato motivi validi per dover lisciare una scultura finita solo con le sgorbie, piuttosto che con la carta vetrata. Certo si puó decidere di lasciare i segni dei ferri sul legno, come scelta stilistica ha un suo perchè; ma se l’idea è avere superfici liscie, la cosa piú pratica é grattarla con una progressione di carte, tipo dalla 60 o 80 fino a 220. Discorso diverso é per un intaglio decorativo, che di norma non dovrebbe essere levigato, ma finito a sgorbie; anche per questo è un tipo di lavoro piú rigoroso rispetto alla scultura figurativa
Il volto. Dopo aver abbozzato tutto il corpo, e aver visto che funzionava (che “girava”), è toccato al volto; è la parte piú caratteristica e al centro dell’ attenzione, e oltretutto quella meno tollerante ai difetti, visto come cambia l’espressività ad ogni piccola piega e lineamento (in confronto, per dire, a una spalla o un polpaccio).
Qui perciò vale ancora di piú la necessità di preservare la tridimensionalità, e di non aver fretta di impostare i particolari piú espressivi, come gli occhi, prima di aver distribuito bene i volumi generali. Mi è capitato per esempio di abbozzare un naso e, preso dall’entusiasmo, invece di lasciarlo in sospeso e pensare anche al resto, di averlo praticamente finito subito, per poi accorgermi che era in una posizione sbagliata.
Per finire i capelli ho trovato una soluzione che mi ha soddisfatto, cioè lasciare i segni delle sgorbie per delineare le ciocche ma dare anche una levigata leggera alle parti più sporgenti.
Questo è il putto levigato e finito
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Bravo!!!
🙂
mi piace da morire: anche io sto realizzando un putto di altezza 50 cm copiandone uno in resina.
Spero di ruscire, il tuo mi piace davvero tanto.
Complimenti
Daniele
Grazie! Buon lavoro
Veramente un articolo appassionante e sincero, spero di trovare il tiglio e di iniziare anche io questa avventura! Complimenti
Saluti
Sergio Schina
manager anticswiss.com
Grazie, se ha bisogno di qualche consiglio mi scriva pure in pvt
ecco qua il mio putto, copiato da uno in resoina comperato su un mercatino. Non sono contento degli occhi, ma considerato tutto non sono nemmeno troppo deluso. Tutto in tiglio, in due strati incollati. Manca ancora lo strumento a fiato.